TEATRO DI POESIA
Nadiani, G. (2001). INSEN… (CD-libro poetico-musicale in collaborazione col gruppo blue-jazz Faxtet e l’attrie Angela Pezzi). Faenza: Mobydick.
INSEN…ZUSAMMEN
[Insieme…]
di Giovanni Nadiani & Faxtet con Angela Pezzi
È possibile una poesia dalla nominazione feriale e bassa, di pensiero presente e critico che, affermando la continuità della memoria contro il propagandato oblio della storia, si confronti con le stridenti contraddizioni dell’oggi? Una poesia che, dando vita a una polifonia di lingue e suoni, suggerisca utopisticamente la possibilità di una convivenza nella diversità di una koinonia, di una fratellanza in un’alterità che ci sottrae la nostra proprietà soggettiva per una dato (donato) oggettivo più grande?
Dopo l’esperienza della non-appartenenza e dello spaesamento, dell’immersione nei notturni e sfregiati paesaggi sonori di Invel [In nessun luogo, CD/libro, Mobydick 1997], è questa la sfida che il battito dei versi a cascata di Giovanni Nadiani (recitati dall’autore e da Angela Pezzi del Teatro Due Mondi) e l’empaticamente drammatica e ironica sensibilità musicale della band blue-jazz Faxtet lanciano col denso e stratificato poemetto in musica Insen… [Insieme…, CD/libro, Mobydick 2001], a forte vocazione orale, proprio nel tentativo di “parlare” (e non solo di “scrivere”), del reale inverato, dei corpi reali, di uscire dal privato verso una traccia antropologica collettiva negata dal fagocitante individualismo.
Prendendo le mosse dall’indignazione per l’assuefatta indifferenza (il grande, subdolo nemico di questi pingui tempi) verso la menzogna di guerre falsamente umanitarie, anche a poca distanza da noi, e intrecciandola allegoricamente con alcuni elementi a sfondo autobiografico (il rapporto d’amore tra un romagnolo e una tedesca, figli della generazione vittima della tragedia della Seconda Guerra Mondiale), l’autore dipana in cinque movimenti e in versi prosastici dai repentini scatti lirici – tra dialetto (la Romagna/Italia), italiano (l’altrove/Germania) e altri linguaggi; tra radici di carne e luogo e una precarizzata esistenza intellettuale (nella fattispecie di un traduttore e di una musicista) – il racconto di una faticosa speranza: anche dall’odio e dal dolore può scaturire la scintilla, apparentemente assurda e irrazionale, di un incontro, di una nuova vita condivisa nella differenza.
Nadiani, G. (1997) INVEL (CD-libro poetico-musicale in collaborazione col gruppo blue-jazz Faxtet e la chitarrista classica Ingeborg Riebesehl). Faenza: Mobydick.
Pag. 32. € 12,91.
ISBN: 888178047X
[Per spettacoli rivolgersi a Guido Leotta: 0546 681819 tratti@fastwebnet.it
DRAMMI SONORI
Giovanni Nadiani
FÖRMICA – Flusso d’in-coscienza
(Dedicato all’attore Ivano Marescotti)
Faenza 2001: Mobydick (Collana Le Nuvole). Pag. 80. € 10,00.
ISBN: 8881782189
La pingue e sfigurata (nel territorio e nell’animo) provincia suburbana, tra viadotti, campi smangiati da caotiche e inarrestabili zone artigianali e frange residuali di paesi, coi loro abitanti “agiti e parlati” da meschini e pervasivi immaginari postmoderni, che tutto snaturano e riciclano, anche le migliori intenzioni: è qui, in questa Romagna-Italia, che Nadiani – al pari delle sue poesie-fotogrammi – “blocca” la scena della contemporaneità nel personaggio di Förmica, il protagonista di questo monologo teatrale.
Rinnovando vecchi stilemi della pop-art, in una lingua bastarda, “da bar” (allegoria di un paesaggio e di una condizione esistenziale contaminati), che intona una sorta di ininterrotto blues con derive rap, Nadiani dà voce ad una figura che condensa in sé le contraddizioni e le apatie della sua generazione.
In un bar deserto, metafora dell’impossibilità di una storia comune, Förmica, abbandonandosi a un
“flusso d’in-coscienza” di circa un’ora, passa in rassegna passato e presente, mode, memorie, fedi, passioni, verità e tradizioni evaporate, tradite o inventate, che nemmeno l’ironia riesce a salvare. Un’ironia che, da consueto fiume carsico nella poesia e nelle prose brevi dello scrittore faentino, qui affiora nei suoi diversi registri ad ogni frase, sconfinando spesso nel comico, anche trash.
Giovanni Nadiani (2005)
BLACK-IN(SIDE) – Un’invocazione
Canzoni di Claudio Chieffo
Il monologo è incentrato sul personaggio Uno che, “colto” da un blackout improvviso, inizia a riflettere sulle tenebre e la luce, sulla memoria dell’uomo, sulla sua impossibilità di salvarla e di trasmetterla veramente a qualcuno, sui rapporti tra le persone e, in particolare, sul senso della vita e sul buio estremo: la morte. Uno nega continuamente il bisogno di qualcuno che lo soccorra nella sua limitatezza e disperazione, e persevera nell’asserire la sua assoluta autosufficienza, facendo finta di non prestare orecchio alle “voci” che gli giungono dall’esterno. Tale asserzione di sconsolata autosufficienza sembra, comunque, venir affievolita o addirittura ribaltata in richiesta d’aiuto dal tono, dalla passione (nel senso anche di patire) con cui è espressa. A servirgli da interlocutori e da momentanea luce dialogante nel buio/vuoto circostante vi sono le parole delle canzoni di Claudio Chieffo e un computer portatile con la luce del suo schermo, la sua memoria virtuale e l’illusione di immortalità dei propri dati, della propria storia, lì archiviati.
Giovanni Nadiani (2006)
STRACONA (Spossatezza) – Monologo a due voci
musiche originali dei Faxtet
(Lettura scenica prodotta dal Teatro Bonci Cesena per la stagione 2007/08)
Al centro di questa pièce in musica vi è la crisi esistenziale, lo “spaesamento” di un uomo di mezza età, metafora di una generazione figlia del boom economico degli anni Sessanta che si è trovata in pochi decenni scaraventata nell’ipermodernità quasi senza accorgersene, travolta dalla propria trasformazione, senza opporre resistenza, anzi divenendone incoscientemente il vero moto propulsore, obliando quando non rinnegando apertamente tutti i segni (a partire da quello linguistico) da cui proveniva e di cui, nonostante tutto, è ancora impregnata. Tale “moto”, simboleggiato dallo sport (elemento importante, sotto diversi punti di vista, per milioni di persone ma raramente oggetto di attenzione letteraria e teatrale), improvvisamente viene a mancare al protagonista (triathleta e, soprattutto, ciclista di valore – non si dimentichi che la figura dell’iron man, l’ “uomo di ferro”, colui che è in grado di disputare la più massacrante delle prove sportive, è assurta a vero e proprio mito nell’immaginario di tanti praticanti), che si ritrova per contrappasso nella più assoluta stasi, nell’impossibilità di alzarsi dal letto, di sfuggire a una stanchezza primordiale. In una sorta di dormiveglia in cui la lingua, sempre rimossa, riaffiora ibridata di presente, l’uomo viene visitato dai suoi fantasmi, dal passato e dalla quotidianità, dalle ossessioni e dalle omissioni; fantasmi che a loro volta parlano i linguaggi della contemporaneità, infarciti di miti, slogan e suoni, di cui la musica “inventata” delle pseudo-radici (il liscio) e riarrangiata e aggiornata in un jazz-blues funky e metropolitano viene a costituirsi come allegorica colonna sonora.
Giovanni Nadiani (2009)
ROCK&RACKET – Monologo in musica
Musiche originali di Faxtet
Prima assoluta 12.07.09 Cesena
per I SUONI DEL TEMPO 2009 XXVIII EDIZIONE:
“Boom – l’inquietudine del benessere – parole musica film
A CURA DI FRANCO POLLINI CESENA, 5 luglio-2 agosto 2009
Il monologo in musica Rock&Racket ruota attorno alla figura di Janko, squattrinato musicista romagnolo sessantenne dall’incerto talento in cerca di una seconda carriera. Nel suo sgangherato, ironico e amaro “sproloquio” Janko, intento a provare i pezzi del CD di un potenziale rilancio con il suo vecchio gruppo o complesso come si diceva nei lontani anni Settanta in cui avevano celebrato alcuni successi, Lo sciancato figuro guercio, chiama in causa direttamente seppur impropriamente le teorie di Charles Darwin sull’evoluzione della specie: l’arte (nella fattispecie la musica) sarebbe il punto più alto raggiunto dalla specie umana nel suo evolversi, ciò che distinguerebbe l’uomo e la donna dall’australopiteco.
E, ovviamente, la musica non può essere che quella del cosiddetto rock progressivo. Il progressive rock (talvolta abbreviato semplicemente in prog) è un genere e una corrente della musica rock, nati in Inghilterra alla fine degli anni Sessanta e sviluppatisi principalmente nella prima metà degli anni Settanta. Il nome, considerato da alcuni inadeguato, descrive il fatto che questo genere rappresenta la progressione del rock dalle sue radici blues, di matrice americana, ad un livello maggiore di complessità e varietà compositiva, melodica, armonica e stilistica, anche mediante l’utilizzo di elementi provenienti da altre tradizioni musicali. Agli occhi e agli orecchi di Janko, il progressive rappresenta il punto più alto dell’evoluzione della specie umana, avendo come obiettivo quello di dare alla musica una finalità estetica, renderla un’opera d’arte. È per questo che si tratta di un genere colto, che richiama continuamente la musica classica, pur essendo suonato con gli strumenti tipici del rock. Ma se questo è vero, come mai egli si ritrova a fare la fame non venendo più ingaggiato nemmeno per la più vieta sagra di paese? Si tratta di una congiura nei suoi confronti dei vari impresari e organizzatori? Oppure questi non fanno altro che assecondare i “gusti guasti” della grande massa consumante e ruminante salsiccia sulla graticola della musica sintetica? Oppure è Janko a non capire che il mondo cambia e che è necessario adattarsi alle mutate condizioni di vita, in quanto, secondo Darwin, la ferrea legge dell’evoluzione della specie prevede che soltanto gli individui meglio adattati ad un certo habitat si procureranno più facilmente il cibo e si accoppieranno più facilmente degli altri individui della stessa specie che non presentano tali caratteristiche. In altre parole, è l’ambiente a selezionare le mutazioni secondo un criterio di vantaggiosità. Ed è così che Janko, più impostore che artista, pur giustamente denunciando certe derive del mondo dello spettacolo, a malincuore, per sopravvivere tenta di ritornare in pista con un hit scimmiottato sui gusti beceri del presente, dove è tutto apparenza, sesso, soldi e ostentazione. Il tentativo è, ovviamente, destinato al fallimento poiché si può avere una vera evoluzione, anche artistica, soltanto nella fedeltà alle proprie radici (umane, musicali, linguistiche ecc.), non svendendole o rinnegandole, bensì rinnovandole con lo spremere fino alle estreme conseguenze il propro talento (piccolo o grande che sia) e la propria umanità.
Ancora una volta Nadiani tematizza la profonda contraddizione insita nel nostro quotidiano: la volontà di stare a ogni costo al passo con gli omologanti lustrini e i consumi (anche culturali) della surrapidità di un’epoca, che tutto macina e dimentica, pur inconfessatamente agognando una diversità di rapporti e un barlume di una vivibile identità. E lo fa mettendo in scena un personaggio inatteso, semicolto, millantatore ed esibizionista, una comica macchietta di musicista, che nel demenziale blaterare a ritroso la propria storia, dialogando aspramente con la musica del Faxtet, talvolta riesce a dirci amare verità. Le note del Faxtet, con cui Nadiani collabora da quasi tre lustri, sottolineano e approfondiscono le rughe e le crepe nella storia e nel progetto del protagonista, innervando creativamente sulle sue parole dialettali e “da bar” miscele sonore che attraverso generi e stili, danno vita a un originale e contemporaneo sound.
Tinin Mantegazza – Giovanni Nadiani – Giampiero Pizzol (2010)
LEARDO E’ RE – Commedia anglo-romagnola
Produzione: Centro Studi “Diego Fabbri” – Compagnia Bella – Rosaspina.Un Teatro
Prima assoluta: Teatro Fabbri, Forlì 20 maggio 2010
CENTRO DIEGO FABBRI ROSASPINA.UN TEATRO COMPAGNIABELLA
Tinin Mantegazza, artista e umorista, Giovanni Nadiani, poeta e scrittore, Giampiero Pizzol, attore e cabarettista portano il grande Shakespeare in terra di Romagna :
RE LEAR
ovvero …
LEARDO e’ RE
Commedia anglo – romagnola
di: Tinin Mantegazza, Giovanni Nadiani, Giampiero Pizzol
con: Giampiero Pizzol, Giampiero Bartolini, Teodoro Bonci del Bene
regia : Angelo Generali
musiche : Marco Versari
organizzazione: Aurelia Camporesi
Che dire di Tinin Mantegazza che ha attraversato la cultura italiana dagli anni ’50 in poi come umorista con disegni, vignette, dipinti , come teatrante con la creazione di pupazzi e personaggi, come regista e autore televisivo con programmi , striscie , cartoon e infine come sperimentatore di linguaggi fin dal cabaret ’64 nella Milano di Gaber, Dario Fo, Cochi e Renato?
Oggi questo poliedrico artista sospeso tra poesia e umorismo, innamorato del mare adriatico e della Romagna, ha deciso di lanciare un’ altra sfida alla cultura teatrale: uno Shakespeare in dialetto romagnolo.
E qui il testimone passa a Giovanni Nadiani, pluripremiato poeta e scrittore che trova nel dialetto la fonte ispiratrice di molte sue opere seguendo idealmente la scia di Guerra, Baldini, Pedretti e di altri poeti contemporanei capaci di sposare la lirica alla lingua popolare, ai fatti e misfatti quotidiani e anche alle lingue straniere, in questo caso l’inglese del Bardo britannico.
Ma passare dal testo alla scena e proporre un’ opera capace di parlare anche a coloro che non hanno dimestichezza con il dialetto mescolando sapientemente l’italiano all’ anglo-romagnolo, è una impresa che solo un commediante può arrischiare. Così ecco spuntare il mestiere di GiampieroPizzol, comico di Zelig, attore e autore di personaggi e di commedie popolari che celebrano la Romagna nelle sue più surreali, malinconiche, divertentissime sfaccettature.
Così la tragedia del Re Lear, a detta di molti critici la più possente e compiuta di tutta l’ opera di Shakespeare, trova nuovi interpreti e si nutre delle tragicomiche vicende di uno dei tanti anziani solitari, abbandonati dalla famiglia e privati della casa che vivono nei Bar e raccontano di figlie traditrici , di fughe dai ricoveri e di mille altre vicende, reali o surreali, vere o solo immaginate.
In tal modo la storia si intreccia con quella della Riviera romagnola attraversata prima dalla guerra e poi dalle orde di turisti, passata dalla miseria alla ricchezza, dalla civiltà tradizionale al consumismo
moderno, dalla azienda familiare alle altre attività frenetiche del moderno mondo degli affari.
Questo Re è uno dei tanti piccoli imprenditori romagnoli che ha creato il suo regno di possedimenti: hotel, negozi, ristoranti, appartamenti. Ma il tempo trascorre inesorabilmente e le proprietà passano alle nuove generazioni che hanno un’ altra visone del mondo e soprattutto non hanno nessuna intenzione di mantere in casa un vecchio padre inasprito dall’ età e legato a una mentalità sorpassata.
Ma il Re non è solo, attorno a lui c’ è tutta una corte di personaggi che arricchiscono la fauna teatrale dell’ opera e trasformano la tragedia in commedia: l’ estro di Giampiero Bartolini dà vita a figure maschili e femminili, a buffoni di corte e avvocati di cause sballate, mentre la verve di Teodoro Bonci del Bene, primo diplomato italiano alla Scuola d’ Arte Drammatica di Mosca, e quindi fresco di classicità, tira le fila della trama shakespeariana della vicenda che si sovrappone teatralmente alla vita. Le musiche originali di Marco Versari contribuiscono a questa alternanza di climi proiettando la vicenda con la velocità del vento attraverso interi secoli di storia, accennando temi e stili e facendo affiorare alla memoria brani conosciuti e rumori di ambienti vissuti oppure scatenando i ritmi dei balli popolari e delle canzoni del dopoguerra anglo romagnolo.
Solo la regia di Angelo Generali, bolognese di provata esperienza ed elaboratore di testi popolari, può imbrigliare dei simili purosangue romagnoli e guidarli al galoppo sulla pista di questo circo della vita e della morte, alternando il delicato equilibrismo sui fili altissimi di Shakespeare con la clownerie burlesca che deborda sul pubblico, la malinconia felliniana dei ricordi con il realismo crudo della cronaca, il clima beckettiano con quello elisabettiano, l’ antico col moderno, il liscio con il rock. Dunque uno spettacolo anglo- romagnolo che giustamente il Centro Diego Fabbri ha voluto in anteprima al Teatro Comunale di Forlì come esempio originale di nuove drammaturgie capaci di dar fuoco alle polveri del teatro e coinvolgere insieme un pubblico di generazioni differenti: giovani e anziani , padri e figli, eredi dei nuovi linguaggi e custodi del patrimonio antico, tradizione e innovazione.
Lo spettacolo si snoda così attraverso una messa in scena surreale dove un autentico Re decadutodella Riviera romagnola rivive la sua lunga storia attraverso litigi con le figlie, temporali improvvisi, porte che si aprono e si chiudono dinnanzi a lui, naufragi ai banconi di Bar
improvvisati, scorribande per le strade e le piazze, fino alla follia sul tetto del famoso Hotel Britannia dove si accende l’ira del vecchio Re che conclude la sua odissea sulla spiaggia davanti all’orizzonte infinito del mare. Valzer, tango, musiche felliniane e rintocchi di campanelli, voci di bambini e canzoni popolari accompagnano questo movimentato vagabondaggio sulle assi del palcoscenico, scene di una comicità irrefrenabile dallo schietto sapore popolare si alternano alle drammatiche impennate dei meravigliosi versi shakespeariani, la giostra della vita scorre sotto lo sguardo degli spettatori coinvolgendo occhi e cuore nella piccola vicenda di questo grande Re e facendo assaporare sia a quanti conoscono il dialetto romagnolo, sia a quanti ormai non lo parlano più, la pienezza del linguaggio teatrale capace di comunicare sempre e comunque a tutti.
Info e contatti : Aurelia Camporesi tel.3489050346
rosaspinaunteatro@libero.it